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dal 27 al 29 ottobre
ORESTE, di
Vittorio Alfieri.
Regia di Michele Suozzo.
Costumi di Annalisa Di Piero.
Con Fabio Camassa, Fulvia De Thierry, Francesca Sammaritano, Enrico Lanza e Riccardo Mori.
Derivato direttamente dalle tragedie del teatro “classico” francese (e a Parigi Alfieri pubblicó
le sue tragedie) il teatro alfieriano fa, rispetto a quelle, un‘operazione di drastico “prosciugamento”,
riducendo al minimo il numero dei personaggi (in genere quattro o cinque).
Nei lavori piú ispirati questo comporta una tensione ininterrotta nello scontro tra le varie figure, come il
finale di una magistrale partita a scacchi in cui rimangono solo pochi pezzi a fronteggiarsi sulla scacchiera.
È proprio questa estrema asciuttezza (precipua caratteristica del teatro alfieriano) già delizia (forse) degli
attori di stampo ottocentesco, quella che sarà poi la croce dei registi moderni, che spesso hanno cercato,
ahimè, di eludere il problema riempendo la scena con pennacchi e comparse.
L‘Oreste (1777-1779) riprende le sanguinose vicende degli Atridi, vicende di cui ci è pervenuta,
del teatro antico, la versione di tutti e tre i tragici.
Alfieri lo concepí come seguito dell‘Agamennone, una delle sue tragedie piú perfette,
in cui soprattutto le figure femminili si scostano radicalmente dai modelli antichi.
L‘Oreste è stato uno degli ultimi capolavori a sparire dal repertorio grazie a un “clima”
che è stato definito “romantico”
Nel riproporre la tragedia alfieriana cercheremo invece, scavalcando qualsiasi barlume di possibile
“romanticismo”, di metterne in luce proprio quegli aspetti che parlano piú da vicino alla
nostra sensibilità: cosí Oreste, “furioso” qui fin dal suo primo apparire, sarà
un ragazzo profondamente “disturbato”,
Egisto, prototipo del “tiranno” alfieriano, appare peró legato a Clitennestra da un rapporto
angosciante e morboso, una coppia dannata, votata, e forse consapevole, della rovina finale.
Lo scandaglio psicologico resta quindi per noi, l‘unico approccio possibile e naturale a questo antico e
modernissimo capolavoro.
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