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E i più importanti teatri lirici gli aprono le porte: La Fenice di Venezia, La Scala di Milano, l‘Arena di Verona,
e poi Amburgo, Vienna, Salisburgo, Buenos Aires.
Memorabile resterà la sua visione del Ratto dal serraglio di Mozart, regia di Strehler, tuttora rappresentato.
“Non si deve decorare lo spazio, ma strutturarlo“ dichiara Damiani, affermando un rinnovato ruolo protagonista alla scenografia.
La genialità di Damiani è sostenuta da un metodo che supera il puro istinto del creatore.
Osservatore implacabile, degli spazi non coglie prospettive e proporzioni in termini intuitivi e basta, ma si interroga sulle percezioni
dell‘occhio e sulle impressioni ricevute dal cervello, cosí che la sua storia d‘artista interseca analisi e riflessioni
di marchio scientifico. La sola scenografia non basta com ambito ideale di sperimentazione.
Negli anni ‘80 Damiani acquista a Roma delle antiche grotte secentesche.
E a 58 anni, compie un‘impresa solitaria e immensa.
Finanziandolo completamente e costruendolo con la sola forza delle sue braccia, Damiani costruisce il Teatro di Documenti, sintesi compiuta della sua idea di teatro.
Scenografo, costumista, architetto, ma anche regista.
Negli ultimi allestimenti intraprende una nuova ricerca sulla drammaturgia e sull‘attore il quale, nascoste le sue fattezze
sotto uno strato di biacca e un naso rosso, diviene neutro ed esclusivo strumento espressivo.
Ad ogni personaggio, inoltre, Damiani affianca un suo doppio, e le battute, frammentate tra l‘uno e l‘altro, o ripetute,
amplificano la musicalità della parola e ne rinnovano il senso.
Mentre sul dire stabilisce una gestualità precisa e dei movimenti di scena che incalzano come serrate coreografie.
Grandi classici,Baccanti, La Mandragola, La Moscheta, vengono rappresentati secondo la linea di questa ricerca.
Innovatore e sovvertitore della scena, Damiani resta un punto fermo e luminoso nel sistema del teatro italiano.
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